
Con tale espressione si allude al fenomeno del bullismo attraverso la rete, ovvero a tutte le condotte finalizzate a intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio, escludere o comunque tormentare ragazzi e adolescenti attraverso l’uso delle nuove tecnologie (su tutte Internet e i social media).
Una definizione ufficiale di cyberbullismo si trova nell’art. 1, l. n. 71/2017 che definisce questo fenomeno come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Va evidenziato che, sebbene il cyberbullismo non costituisca reato, quasi tutte le condotte che possano integrare
cyberbullismo costituiscono, autonomamente, fattispecie di reato: minaccia, diffamazione, violenza privata,
estorsione, revenge porn, violenza privata, furto di identità sono solo alcuni dei reati ravvisabili in episodi di
cyberbullismo.